Un po' Elinor, un po' Marianne: "Ragione e sentimento"

La scorsa settimana avrei dovuto incontrare una Lucy Steele, per così dire, e dopo una reazione emotiva in pieno stile Marianne Dashwood ho pensato: "Elinor, al mio posto, non solo ci sarebbe andata, ma avrebbe mantenuto come sempre un contegno invidiabile, quindi potrei farcela anch'io, se mi ci metto d'impegno". Il caso (o il mio tono di voce, che dir si voglia) ha voluto che l'occasione sia sfumata: non ho potuto dimostrare in alcun modo la mia buona volontà. Meglio così, perché se è vero che di Elinor possiedo senz'altro la capacità di ascoltare e comprendere a fondo i sentimenti altrui, come Marianne non riesco a mascherare in alcun modo i miei, positivi o negativi che siano. In ogni fibra del mio essere mi riconosco nella sorella più appassionata, spontanea, entusiasta e impulsiva del romanzo. 

La famiglia Dashwood è composta dalla vedova Mrs. Dashwood e dalle tre figlie Elinor, Marianne e Margaret. Jane Austen descrive così la maggiore delle sorelle, mettendola a paragone con la madre e la sorella minore: "Aveva un carattere eccellente: era affettuosa e i suoi sentimenti erano vivi, ma sapeva come governarli; una dote che sua madre doveva ancora imparare e che una delle sue sorelle aveva fermamente deciso di non fare mai sua." Durante la permanenza presso la residenza di Norland, Elinor conosce Edward, un giovane dai modi gentili, dall'aspetto poco appariscente e dall'intelligenza apprezzabile, ma troppo timido e riservato per rendere davvero giustizia a se stesso. Tra i due emerge pian piano una forte affinità e sboccia un affetto inespresso. Edward, infatti, sembra sempre pensieroso e distante ed Elinor non riesce a comprendere le ragioni di questo suo atteggiamento. Gli innamorati sono separati dal trasferimento della famiglia Dashwood nel grazioso Barton Cottage, dove la vita scorre tranquilla tra letture, studio e piacevoli frequentazioni amichevoli. In questo periodo, tutti cercano di decifrare il cuore di Elinor, ma senza successo. Senza tradire alcuna emozione e nel più completo silenzio, Elinor continua a confidare in ciò che ha provato a Norland, convinta di essere corrisposta. 


Marianne, invece, conosce il Colonnello Brandon, un uomo irreprensibile, serio e di buon cuore, ma con qualche anno in più di lei, dunque, a suo parere, necessariamente dipendente dal suo panciotto di flanella. Il Colonnello si innamora fin da subito di Marianne, della sua dolcezza e della sua emotività, lei fa di lui il suo privilegiato oggetto di scherno. Il povero Colonnello Brandon tiene per sé i suoi sentimenti, limitandosi a semplici sguardi malinconici. La sua situazione peggiora ulteriormente con l'arrivo dell'aitante John Willoughby: giovane, di bell'aspetto, apparentemente ricco, ben istruito, grande amante dei cavalli e della poesia, l'eroe perfetto della storia di Marianne. Quest'ultima, come sempre, si fa trascinare dai suoi irrefrenabili stati d'animo: lo sente vicino al suo cuore e inizia a condividere con lui ogni suo pensiero. I due trascorrono sempre più tempo insieme e tutti sono certi del loro reciproco affetto, ma una domenica Willoughby si congeda frettolosamente da Marianne, fuggendo a Londra e lasciandola nella più cupa disperazione. Seguono giorni di tormento per questo comportamento inspiegabile di cui le sorelle conosceranno le reali cause e conseguenze soltanto mesi dopo, proprio durante un soggiorno nella capitale: Willoughby ha sedotto la protetta del Colonnello Brandon abbandonandola in stato interessante, ha perso il suo patrimonio e ripiegato su un matrimonio di convenienza con la ricca Miss Gray. Tali notizie piegano Marianne, che cade vittima di una terribile febbre infettiva. Tutti temono il peggio, ma per fortuna Marianne torna alla vita e riesce lentamente a ristabilirsi. Dopo aver allontanato faticosamente dalla sua mente e dal suo cuore Willoughby, Marianne si accorge finalmente dell'amore sincero, sicuro e costante del Colonnello Brandon e ne premia la costanza sposandolo. 

Anche per Elinor sono in serbo dispiaceri e tribolazioni, seppur "governati" dalla solidità e lucidità del suo carattere. L'incertezza dimostrata da Edward è infatti dovuta a un suo precedente fidanzamento segreto con la giovane e mediocre Lucy Steele. Edward porta avanti tale legame per puro senso del dovere e se ne sente totalmente imbrigliato e sopraffatto. Elinor sopporta per lungo tempo non solo questa notizia, ma anche la frequentazione diretta con la stessa Lucy, che non perde occasione per rimarcare la propria felicità e il grande valore del suo amore. Quando tutto sembra perduto ed Elinor sta per rassegnarsi al suo destino, il fidanzamento segreto viene a galla, decretando l'allontanamento di Edward dalla sua famiglia e la perdita di tutti i suoi diritti di primogenitura, ceduti così al fratello Robert. Edward si rifugia a Oxford, mentre il Colonnello Brandon gli offre il beneficio della propria parrocchia di Delaford per aiutarlo. Nel frattempo, Robert inizia a frequentare assiduamente Lucy Steele per indurla a rompere il fidanzamento. Effettivamente, riuscirà nel suo intento: sposerà proprio lui Lucy, lasciando finalmente libero Edward di sposare senza macchia la sua Elinor, coronando il suo sogno di felicità. Le due sorelle Dashwood vivranno entrambe a Delaford con i rispettivi mariti, mantenendo sempre rapporti idilliaci e armoniosi. 

Sono tante le cose che mi hanno colpito di questo romanzo: la forte amicizia tra Elinor e il Colonnello Brandon, il rapporto viscerale tra le donne della famiglia Dashwood, la grande generosità del Colonnello, il senso di inadeguatezza di Edward, il castigo di Willoughby. Sì, scrivo castigo perché durante la malattia di Marianne, nel capitolo XLIV, l'egoista, sorprendentemente, si pente davvero e fa un mea culpa in presenza di Elinor: ha iniziato a frequentare Marianne solo per alimentare il proprio ego ipertrofico, ma ben presto ne è rimasto affascinato, poi travolto, e i suoi sentimenti sono cambiati, divenendo, forse per la prima volta, sinceri. Tuttavia, la sua precedente condotta da libertino incallito e la sua prodigalità hanno reso impossibile, o perlomeno non conveniente, la sua dichiarazione. La ricerca esclusiva del suo agio ha decretato il suo matrimonio e, al tempo stesso, la sua condanna all'infelicità. Jane Austen lo punisce abbastanza, posso ritenermi soddisfatta. Mi è sembrato di ascoltare quelle parole proprio qui, con le mie orecchie, come fossi Elinor. E mi sono sentita in pace. Gli alberi hanno vestito le proprie foglie più verdi, poi si sono ricoperti di giallo e arancione, sono rimasti nudi al cospetto dell'inverno, sono rifioriti. La tristezza ha lasciato il posto al rancore, il rancore alla rabbia, la rabbia all'indifferenza. E lì dove si è fatto spazio soltanto il silenzio potrebbe germogliare un nuovo seme: quello del perdono. È ritornata l'estate. 

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