To the happy few
"To the happy few" è la frase con cui lo scrittore ottocentesco Stendhal conclude una delle sue opere più importanti e d'impatto, "La certosa di Parma". In realtà si tratta di un piacevole furto, una citazione shakespeariana tratta dalla tragedia storica "Enrico V". Nel corso dei secoli, molti hanno cercato di interpretare questa dedica sibillina, di carpirne il significato profondo, di conoscerne il segreto: chi sono questi "pochi felici" a cui i due si riferivano? Chi può sentire di essere toccato in prima persona da queste parole ormai antiche ma sempre moderne nel cuore di chi le legge? La spiegazione che mi è sempre piaciuta è una sola, quella che ho ascoltato con occhi sognanti fra i banchi del liceo: i pochi felici sono coloro che amano l'arte, profondamente e in tutte le sue forme, incondizionatamente. Essi sono felici perché hanno una grande sensibilità, possono provare grandi emozioni, talvolta così forti da diventare insopportabili; amano quelle che, a mio parere, sono le cose più belle che possano esistere. Spesso le amano in silenzio, però, perché non si sentono capiti, non trovano negli altri delle anime fertili, aperte, disponibili. E così i pochi felici possono anche trasformarsi nei pochi infelici, qualora le loro passioni non diventino mai condivise. Credo che il motivo principale che mi ha spinta a scrivere sia proprio questo: pervenire ad uno stato di condivisione, o perlomeno provarci. Faccio mia questa dedica celebre e la rivolgo, con umiltà estrema, a tutti coloro i quali non osano fare arte, ma si accontentano anche solo di guardarla da lontano, con occhi appassionati e mente affamata.
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