"L'età dell'innocenza": il fiore della vita mai colto
La New York del 1870 è un microcosmo governato da leggi tacite ma inflessibili e consuetudini inestirpabili. La vita scorre lenta e sempre uguale a se stessa, tra grandi balli annuali, imperdibili prime a teatro e cene dalle portate infinite. La dissimulazione è il vero credo dell'intera società, il pilastro che sorregge le tante vite apparentemente serene e inattaccabili dei rispettabili cittadini, tutti dediti al culto del lavoro, del matrimonio e della famiglia. Avere un'opinione divergente e pretendere di esporla in pubblico è considerato non soltanto sconveniente, ma del tutto impensabile. I vari Chivers e van der Luyden troneggiano su qualsiasi dinamica e fanno in modo che nulla cambi, Lawrence Lefferts decanta i valori del focolare nascondendo oculatamente le sue svariate amanti e il parvenu Julius Beaufort porta avanti i suoi affari in maniera spregiudicata, certo di cadere sempre in piedi, qualunque cosa accada.
Newland Archer è il rampollo di questo universo immutabile e il suo fidanzamento con May Welland appartiene all'ordine più naturale e auspicabile delle cose. May è perfetta: bella, accondiscendente, premurosa, impeccabile in ogni situazione, pronta a parlare e a comportarsi esattamente come gli altri si aspettano che lei faccia. Non una sbavatura, né una crepa che possa gettare un'ombra sul suo sorriso così sicuro e compiaciuto. Newland la ammira ed è convinto davvero di amarla, dopotutto non potrebbe chiedere di più. Ma l'arrivo dell'affascinante e malinconica contessa Ellen Olenska scompagina tutte le sue certezze, così come quelle dell'intero microcosmo newyorkese. Ellen, cugina di May, scappa dall'Europa e da un matrimonio infelice con il Conte polacco Olenski, con la speranza di trovare nel Nuovo Mondo mani tese e volti amici, sostenuta dalla famiglia Mingott. Non sa di essere una mina vagante, una vera e propria minaccia per i delicatissimi equilibri cittadini. Una donna indipendente, una pensatrice avvezza a conversare con i maggiori artisti parigini ed europei, una moglie che lascia il proprio marito senza avere un'alternativa, semplicemente perché resa infelice dai suoi costumi e dalle sue abitudini intollerabili. Tacciata velatamente di adulterio dai più, sopporta con coraggio ogni accusa infondata e si stabilisce nei "quartieri stravaganti" della città. Rifiuta ogni corteggiatore (sposato) e ogni proposta di riallacciare un qualsiasi tipo di rapporto con il marito, dimostrando sempre la sua coerenza e la sua ostinazione. Newland è dapprima un suo osservatore distante e perplesso, poi un amico e sostenitore fidato, infine il suo grande e impossibile amore. I due si comprendono alla perfezione e cadono entrambi vittime della congiura della società circostante, che carpisce ogni sguardo d'intesa e lavora silenziosamente ma instancabilmente per allontanarli. Ogni tentativo di vivere una vita insieme, o perlomeno di progettarla, è destinato al fallimento, sommerso dai doveri, dalle aspettative e dai sentimenti altrui, dal contegno e, più in generale, dall'idea astratta di "ciò che è giusto". Ellen aiuta Newland Archer a sollevare il velo di Maya, ma soltanto per un istante. "Il fiore della vita" è scoperto, ma non è mai colto.
Newland Archer condurrà un'esistenza rispettabile al fianco di May, sarà un buon padre e marito, un ottimo cittadino e un membro onorevole e benvoluto della sua comunità. Ellen Olenska tornerà in Europa, mantenendo la sua indipendenza e riprendendo le sue conversazioni forbite. Dopo anni, a Parigi, dopo la morte di May, i due avranno la possibilità di rincontrarsi, ma anche questa volta il senso del dovere avrà la meglio, con un reticente Newland Archer che rifiuterà l'incontro definendosi semplicemente "all'antica". In quest'occasione, durante una conversazione con suo figlio, Newland scoprirà che sua moglie May, apparentemente imperturbabile e del tutto accecata dalle convenzioni e dalla sua educazione, aveva compreso i suoi sentimenti e la sua infelicità, apprezzando impagabilmente la sua pervicacia nel restare, nonostante tutto.
La New York del 1870 non è poi così lontana: quanti di noi sono quotidianamente oppressi dalla vaga idea della "cosa giusta da fare" e dalle aspettative altrui? Vivere a modo proprio ed essere se stessi sembra sempre difficile, oggi come allora. Essere coraggiosi e "cogliere il fiore della vita", come scrive Edith Wharton, dovrebbe essere una priorità, ma diventa fin troppo spesso una semplice opzione. Spesso amiamo gli altri ben più di noi stessi e anteponiamo il loro benessere al nostro, rassegnandoci a vivere in una farsa che non ha mai fine. Tuttavia, talvolta, arriva qualcuno che spegne le luci sul palcoscenico. Ha davvero senso tutto questo? Quest'opera del 1920 invita a riflettere su questo tema, dà voce all'inespresso e forma all'irrealizzabile. Lascia l'amaro in bocca per quello che poteva essere e non è mai stato. E noi, lo coglieremo il fiore della vita?
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