"Via dalla pazza folla": l'inganno della lusinga e la lealtà del silenzio
Nella lussureggiante contea del Wessex (in realtà il Dorset dell'autore Thomas Hardy) si svolge la vicenda tormentata ma a lieto fine di "Via dalla pazza folla" e della sua protagonista dal nome quanto mai insolito, Bathsheba Everdene. Orfana di entrambi i genitori sin dalla tenera età, Bathsheba è una giovane donna forte, tenace, testarda e orgogliosa, abituata a stare sola e a godere pienamente della propria indipendenza. Inizialmente, non possiede alcuna fortuna, ciononostante non si mostra disposta in alcun modo a rinunciare alla propria libertà per rassegnarsi al destino di un matrimonio che le assicurerebbe una maggiore stabilità economica, ma sacrificherebbe irrimediabilmente la vera natura del suo essere. Ben presto, però, il destino vuole che la sua autonomia diventi non solo spirituale e intellettiva, ma anche finanziaria, grazie alla dipartita di uno zio particolarmente facoltoso. Bathsheba riceve così una fattoria tutta sua da amministrare e comincia a camminare realmente sulle proprie gambe.
Attorno a lei gravitano tre personaggi maschili quanto mai diversi tra loro. Il primo a comparire è Gabriel Oak, pastore di talento, sobrio e riservato. Nonostante il mutamento delle sue fortune, Gabriel continua a coltivare costanza e serietà nel lavoro, e irreprensibilità e sincerità nella vita privata. Si innamora subito di Bathsheba, le chiede di sposarlo e riceve un secco rifiuto. "Sono troppo indipendente, finireste per odiarmi", risponde lei. Lui non si arrende e, tacendo, le rimane accanto per anni, come una roccia ostinata a cui aggrapparsi durante ogni avversità. Sopraggiunge, poi, il Signor Boldwood, un uomo di mezza età che "ha già conosciuto l'amarezza del rifiuto", un animo sensibile che nasconde forti fragilità psicologiche, che si mostreranno in tutta la loro disastrosa dirompenza alla fine del romanzo. Vive per Bathsheba un amore tormentato, un attaccamento morboso, alimentato da un iniziale incoraggiamento leggero e scherzoso da parte di lei. Infine, appare il Sergente Frank Troy, un giovane di belle speranze che ha abbandonato ogni cosa per la carriera militare. Sfruttando il fascino della divisa, l'arte del combattimento e soprattutto la scioltezza di una favella tanto lusinghiera quanto fasulla, Frank si fa strada nel cuore di Bathsheba, rubandole prima l'amore, poi la pace e la serenità.
Se inizialmente la lusinga di Frank sembra trionfare, sarà proprio la lealtà del silenzio di Gabriel ad avere la meglio alla fine del romanzo, perché, come dice Shakespeare "Non t'ama chi amor ti dice, ma t'ama chi guarda e tace". La costanza, la serietà e i buoni sentimenti saranno finalmente ricompensati e ogni maschera di falsità cadrà rovinosamente, infrangendosi in un tragico epilogo.
Bathsheba è un'eroina moderna, più che vittoriana, una donna strutturata e al tempo stesso fragile sotto certi aspetti. Non è consapevole del suo fascino e della sua bellezza, così come delle conseguenze che entrambi possono produrre. Frank Troy riesce ad agire su un nervo scoperto che lei non pensava neanche di possedere: la vanità. Il potere del complimento vacuo e dell'astuzia verbale abbatte rapidamente ogni diffidenza e resistenza. La scoperta della passione farà il resto.
Mi sono riconosciuta in Bathsheba soprattutto per quanto riguarda la testardaggine e l'orgoglio, ho disprezzato la falsità del Sergente Troy e mi sono legata irrimediabilmente a Gabriel Oak. Come Konstantin Dimitrijevic Levin in "Anna Karenina", Gabriel sembra avulso dal mondo circostante, ma nasconde in sé un intero universo. Ha una bontà genuina e dei valori sani che non riesce a esprimere compiutamente. Il suo rapporto con Bathsheba non è fatto di parole, ma è concreto, come una quercia. Non a caso, "oak" significa proprio "quercia" in inglese. Alla fine del romanzo, Hardy fa una bellissima descrizione di questo amore basato su affetto, amicizia e stima durevoli, costruiti nel corso di anni di conoscenza e condivisione. Probabilmente si tratta di un quadro di come, secondo l'autore, il sentimento reale dovrebbe essere. L'opera mi ha fatto riflettere molto sulla contrapposizione tra parole e silenzio: le parole pronunciate "fanno rumore", quindi compagnia, il silenzio sembra vuoto e viene identificato spesso con l'assenza. Tuttavia, il silenzio è sempre vero per definizione, a differenza delle parole che, come quelle di Frank Troy, spesso nascondono scopi reconditi e possono indurre in inganno. Ancora una volta, anche questo romanzo si è rivelato una chiave importante per cercare di capire l'animo umano, come soltanto i grandi classici possono fare.
Dall'opera di Hardy, pubblicata per la prima volta nel 1874, è stato tratto l'omonimo film del 2015 di Thomas Vinterberg, con Carey Mulligan e Matthias Schoenaerts. L'ho guardato cinque volte e posso dire, per gli amanti del genere, che non ci si stanca mai di rivederlo. La bellissima colonna sonora di Craig Armstrong lo impreziosisce ulteriormente e si rende sempre piacevole all'ascolto. Ecco qui di seguito un'immagine emblematica del film: Bathsheba guarda Gabriel e Gabriel guarda il suolo. Come sempre, aggiungerei. Ma non c'è nulla di più tenero, non credete?
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